Lo scorso 16 aprile è partito in Ticino un progetto per testare, su base volontaria, il personale sanitario in quanto potenzialmente maggiormente esposto al SARS-CoV-2, per la presenza di anticorpi che dimostrino un possibile contatto avvenuto con questo coronavirus. Coordinato dalla Clinical Trial Unit EOC (CTU-EOC), il progetto è svolto in collaborazione tra ospedali, centri COVID-19 in Ticino (Ente Ospedaliero Cantonale EOC e Clinica Luganese Moncucco), l’Istituto di ricerca in biomedicina (IRB, affiliato all’USI) e Humabs BioMed (filiale di Vir Biotechnology). La partecipazione è stata molto elevata, segnale della grande collaborazione sul territorio: dai 4’728 campioni di siero prelevati è stato possibile effettuare i test sierologici e valutare i primi risultati in meno di un mese. Nel 9,73% (460) dei campioni di siero sono stati rilevati anticorpi che indicano una probabile avvenuta esposizione al SARS-CoV-2, responsabile dell’infezione COVID-19. Al progetto ha partecipato il personale medico-sanitario di EOC, Cardiocentro Ticino e Servizio Trasfusionale con complessivamente 4334 collaboratori, Clinica Hildebrand (294 collaboratori) e Clinica Moncucco (100).
“L’adesione allo studio e la rapidità di esecuzione dello stesso, sia per quanto riguarda la parte dei prelievi e rilevamento delle informazioni specifiche che per la parte analitica, è notevole e ci piazza bene nel confronto con altre iniziative simili a livello nazionale e forse di più”, afferma il Prof. Dr. Alessandro Ceschi, direttore della CTU-EOC. “Oltre alla buona e efficiente organizzazione va riconosciuto il notevole interesse e la generosità degli operatori sanitari volontari di tutte le strutture del Cantone che hanno aderito. Grazie a loro disponiamo ora di dati, che approfondiremo ulteriormente nei prossimi giorni, che contribuiscono a chiarire la situazione epidemiologica del Cantone in una popolazione potenzialmente a rischio e che potranno contribuire a definire la strategia futura in questo contesto. Rappresentano inoltre un buon punto di partenza per ulteriori studi di approfondimento nella popolazione, in parte già in corso”, aggiunge il Prof. Dr. Ceschi.
“Il test sierologico usato all’IRB è stato sviluppato da Humabs BioMed e misura gli anticorpi contro la porzione del virus che è responsabile dell’infezione delle cellule dell’ospite. Esperimenti di validazione hanno confermato l’elevata specificità e sensibilità del del test”, spiega la Prof.ssa Federica Sallusto, Direttrice di laboratorio presso l’Istituto bellinzonese, affiliato all’USI. “In ogni caso, è importante ricordare che la presenza di anticorpi specifici non ci permette ancora di stabilire se un individuo è protetto, parzialmente o totalmente, da una re-infezione. Per questo sarà importante continuare a seguire nel tempo i donatori che hanno sviluppato gli anticorpi per valutarne l’evoluzione e la persistenza e per questo, contiamo sulla straordinaria collaborazione dei volontari che hanno aderito allo studio”, precisa la Prof.ssa Sallusto.
“La possibilità di seguire nel tempo i donatori che hanno sviluppato gli anticorpi ci permette un’unica opportunità di poter anche approfondire le conoscenze sulla risposta immunologica al SARS-CoV-2 analizzando la risposta immunitaria cellulare, che è un elemento altrettanto importante di difesa del corpo contro i coronavirus”, spiega il Prof. Dr. Paolo Ferrari, Capo Area Medica all’EOC.
Il Prof. Emiliano Albanese, Direttore dell’Istituto di salute pubblica dell’USI, aggiunge inoltre che “questo lavoro si inserisce in un insieme di progetti sviluppati da ricercatori ticinesi per valutare e gestire le conseguenze dell'infezione COVID-19, in collaborazione con partner nazionali e internazionali, e con le autorità sanitarie. Tra questi figurano studi ‘popolazionali’ che permetteranno di situare nel contesto generale i risultati qui presentati”.